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Diversi studi hanno dimostrano che gli infortuni aziendali sono dovuti nell’80% dei casi da errori umani. Partendo da questo dato appare ovvio che per ridurre gli infortuni sia più opportuno ed efficace partire dall’analisi del comportamento umano, per capire poi come modificarlo.

La chiave per una maggior sicurezza è quella di modificare le cosiddette “variabili soggettive” ossia quelle variabili legate alla percezione che le persone hanno del concetto di sicurezza, e che si distinguono dalle “variabili oggettive” che invece rappresentano l’insieme delle norme, delle procedure e dei dispositivi di sicurezza. Mentre le variabili oggettive sono facilmente identificabili, determinabili e modificabili, quelle soggettive invece sfuggono al controllo del management, ma non di meno sono proprio quelle su cui, intervenendo, si può avere il maggior impatto, essendo esse determinanti per quella percentuale di infortuni, citati ad inizio articolo, di cui il comportamento umano è responsabile.

Per ricapitolare: possiamo ottenere di più cambiando la percezione di cosa sia pericoloso che imponendo nuove regole da seguire.

 

Per farlo dobbiamo tenere conto che il risultato della percezione del rischio è basato sui filtri che ognuno di noi assume per decodificare la realtà, quindi vediamo ciò che il nostro cervello è abituato a “vedere” nel senso di comprensione della realtà. Per fare un esempio: spesso associamo all’immagine degli ippopotami delle emozioni positive e lo “interpretiamo” in base ai nostri filtri come un animale placido che ci ispira anche un senso di tenerezza… Ebbene, gli ippopotami sono animali estremamente pericolosi e aggressivi e causano ogni anno circa 500 morti in tutto il mondo. Se ci trovassimo vicino ad un ippopotamo durante un safari in Africa la nostra percezione del concetto di sicurezza, se basata sulle idee comuni ed errate che abbiamo di questi animali, potrebbe metterci in gravissimo pericolo.

In ambito aziendale la chiave è quindi quella di operare un intervento per educare la capacità di riconoscere i filtri che influenzano le nostre percezioni. Dato che questi filtri si costruiscono nel tempo in base alle nostre esperienze quello che spesso accade è che, essendo gli incidenti eventi rari, associamo ad attività potenzialmente pericolose una percezione di non-pericolosità perché “finora non è mai successo nulla”. Infatti, alcune ricerche dimostrano che le persone tendono a sopravvalutare i rischi connessi ad eventi rari e a sottovalutare quelli connessi ad attività ordinarie e di routine.

Esistono poi altre “trappole cognitive”, elementi legati ad esempio al gruppo di riferimento, aziendale o sociale che sia, che possono portarci a percezione errate. Ad esempio se in un cantiere, chi indossa il casco viene preso in giro da chi non lo indossa, saremo spinti ad adeguarci alla maggioranza e ad evitare i giudizi degli altri, nonostante nessun giudizio ti possa ferire di più di una trave in testa.

In conclusione: è molto umano interpretare la realtà in modo errato e proprio per questo è compito del management prevedere e prevenire questa tendenza, soprattutto se parliamo di sicurezza.

 

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